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17 aprile, referendum contro le trivellazioni a mare: perché votare sì

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Per la tutele dell'ambiente, il lavoro, una diversa politica energetica

Il prossimo 17 aprile saremo chiamati a esprimerci sull'abrogazione del comma 17, terzo periodo, dell'articolo 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, limitatamente alle parole: "Per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale".

L'abrogazione ha come oggetto parte del testo di un maxi emendamento fatto inserire dal Governo nella Legge di Stabilità 2016, licenziata il 23 dicembre 2015 ed entrata in vigore il 1 gennaio 2016.

Articolo 1, commi 239-242 - Modifiche alla normativa su ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi (c.d. Attività upstream):

«239. All'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il secondo e il terzo periodo sono sostituiti dai seguenti: «Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. Sono sempre assicurate le attività di manutenzione finalizzate all'adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell'ambiente, nonché le operazioni finali di ripristino ambientale».

Nel reintrodurre il divieto di svolgimento di attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, sia liquidi sia gassosi, nelle zone poste entro il limite delle 12 miglia marine, la norma contenuta nella Legge di Stabilità 2016 fa salvi i titoli abilitativi già rilasciati per le aree oggi interdette; di questi cui 10 concernono la fase di ricerca e 37 quella di coltivazione di gas e petrolio.

Le attività produttive riguardanti i titoli già rilasciati non saranno quindi interessate dal Referendum del 17 aprile se non per la parte relativa alla loro durata che Governo e Parlamento, modificando la disciplina in essere fino al 31 dicembre 2015, hanno deciso di estendere fino alla durata di vita utile del giacimento.

Lasciare, invece, come nei propositi dei promotori del Referendum, che i titoli vadano a scadenza secondo le tempistiche dei programmi di lavoro approvati con le autorizzazioni e secondo la previgente normativa, non taglierà posti di lavoro al settore "petrolifero" (ancor meno all'O&M) e consentirà al contempo di mettere in campo progetti di riconversione/ristrutturazione della filiera produttiva dell'Oil&Gas.

Per governare questa difficile fase di transizione occorre una politica industriale che il governo non realizza.

La vittoria del Sì al Referendum No Triv del 17 aprile non metterà in discussione "le attività di manutenzione finalizzate all'adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell'ambiente, nonché le operazioni finali di ripristino ambientale" in quanto le stesse non sono oggetto di abrogazione.

Semmai andrebbe evidenziata l'incongruenza tra il prolungamento della validità dei titoli per tutta la durata di vita utile del giacimento, da una parte, e quanto già previsto nella Strategia Energetica Nazionale in materia di transizione verso un modello energetico centrato maggiormente sull'efficienza e sull'impiego di energie pulite, con un cambiamento del mix energetico a favore di queste ultime e a scapito delle fonti fossili.

Nella S.E.N. lo sforzo per la transizione risulta ancora più accentuato in termini di raggiungimento di target di sviluppo sostenibile al 2050.

Si potrebbe quindi paradossalmente affermare che, malgrado gli obiettivi indicati nella S.E.N. costituiscano il minimo che si possa fare in raffronto ai più ambiziosi traguardi di Paesi come, ad esempio, Germania e Danimarca, nel medio termine la principale fonte di rischio per gli attuali livelli occupazionali nel settore dell'Oil & Gas è la Strategia Energetica Nazionale.

Il Referendum No Triv del 17 aprile -a cui potrebbe aggiungersi un secondo referendum in seguito all'imminente pronunciamento sul Piano delle Aree e la durata dei titoli su terraferma ed in mare oltre il limite delle 12 miglia marine, semmai ha l'ambizione di rimettere il Paese sui binari di una necessaria evoluzione del modello energetico, coerente con alcuni obiettivi "virtuosi" della S.E.N. -da migliorare in ogni caso- e con gli impegni assunti in sede internazionale dal nostro Paese.

White e green economy sono la vera alternativa

I livelli occupazioni si difendono e si incrementano puntando su efficienza energetica ed energie pulite.

Secondo lo Studio “Stato e prospettive dell’efficienza energetica in Italia” realizzato dalla Fondazione Centro Studi Enel e dall’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, l’efficienza energetica può avere un impatto sul sistema economico nazionale pari al 2% del Pil e un risparmio compreso tra i 50 ed i 72 milioni di tonnellate di CO2 al 2020.  Puntare sulla white economy comporterebbe un aumento dell’occupazione del 2% e una riduzione dei consumi totali di energia compresa fra il 12 e il 18%.

Mentre l'Italia, con la S.E.N., si dà obiettivi di efficientamento e di incidenza della produzione di energia da fonte rinnovabile rispetto ai consumi finali lordi in linea con le indicazioni dell'Unione Europea al 2020, molto più saggiamente altri Paesi come, ad esempio, Germania e Danimarca, puntano al conseguimento traguardi molto più ambiziosi e premianti sotto il profilo produttivo, tecnologico ed occupazionale.

Come ben sanno numerose imprese italiane molto attive nell'export, la Danimarca si è data come obiettivo l'indipendenza dagli idrocarburi entro il 2050, con rinnovabili al 100% sia nella produzione elettrica che nell'industria dei trasporti (fonte: Il Sole 24 Ore, http://24o.it/ypwC9T). Già oggi il 40% del fabbisogno di energia elettrica è coperto dalle rinnovabili. Tutto il sistema danese è organizzato e lavora in funzione dell'obiettivo della crescita e della sostenibilità: livello di corruzione ai minimi mondiali, agevolazioni fiscali per attirare nelle aziende danesi i migliori "cervelli" esteri, contenziosi di breve durata, "burocrazia zero", ecc..

Come la Danimarca, anche la Germania punta a raggiungere nel 2050 il 100% di rinnovabile nel soddisfare la domanda interna di energia elettrica. In quel Paese, un blando regime di incentivazione dei sistemi di accumulo dell'energia prodotta da fonte solare ha determinato un'importante crescita del settore delle rinnovabili.

Si stima che in appena tre anni l'incentivo alle batterie abbia permesso di installare 15.000 sistemi di accumulo, portando il totale a 25.000, che dovrebbero diventare 100.000 entro il 2018.

Così facendo il Governo tedesco non solo è riuscito ad incoraggiare l'autoconsumo elettrico su larga scala, ponendo un freno al caro-energia ed accrescendo il grado di sicurezza del sistema elettrico nazionale ma ha favorito in tal modo anche la crescita dell'industria tedesca delle batterie di accumulo di prevalente estrazione automotive.

Le politiche del Governo Italiano non sono andate e non vanno in questa direzione.

Esemplificando, il grave ritardo accumulato in Italia nell'emanazione del Decreto sui nuovi incentivi alle Fonti di Energia Rinnovabile non fotovoltaiche (ora impantanato in sede U.E.) ha determinato nel 2015 la perdita di più di 4.000 posti lavoro.

Di chi sono le responsabilità? Del Referendum No Triv o del Governo?

Per concludere

Quello della salvaguardia dei posti di lavoro nel settore Oil&Gas è uno dei temi della campagna referendaria e verrà utilizzato strumentalmente dal partito Sì Triv per alzare il livello dello scontro soprattutto nelle aree di crisi (es.: Gela) e per allargarlo a temi che sono direttamente connessi non all'esito referendario bensì all'incapacità di programmazione dell'Esecutivo che non è in grado di mettere in campo una seria politica di riconversione ecologica e di difesa dei livelli occupazionali nel settore Oil & Gas la cui crisi ha radici lontane.

Il quesito su cui gli italiani e le italiane saranno chiamati a pronunciarsi è puntuale e ben definito: NON E' UN REFERENDUM TRIVELLE ZERO. Questo non perché il cartello referendario composto da oltre 200 associazioni e comitati non ritenga condivisibile l'obiettivo in sé -al contrario- ma in quanto:

- lo strumento tecnico-giuridico in sé non consente di poter formulare un quesito "Trivelle Zero" capace di superare indenne l'esame della Corte Costituzionale;

- l'obiettivo "Trivelle Zero" è tappa finale di un processo di transizione e trasformazione economico-sociale che necessita di essere governato e gestito nel tempo. In questa finestra temporale è ragionevole e necessario sostenere la proposta di una moratoria, che interessi sia il mare sia la terraferma, e di una revisione organica della disciplina delle attività "petrolifere" in Italia;

- agitare lo spauracchio del Referendum del 17 aprile è puro esercizio propagandistico a cui ricorre un Governo che non ha idee chiare -meno che mai un piano industriale- per dare risposta alle mille vertenze/questioni aperte nel settore "energy" (riconversione a Gela e non solo, esubero per migliaia di lavoratori in Saipem ed Enel, crisi del settore della raffinazione, ecc.)

Coordinamento Nazionale No Triv

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